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Desperate Surfer's Wife

  >  Storie DSW   >  Esplora   >  ALLA SCOPERTA DEL COLOSSEO

REGALI DI COMPLEANNO

A gennaio ho ricevuto un bellissimo regalo: un ingresso VIP  firmato Musement per due persone al Colosseo, Foro Romano e Palatino. In soldoni: non ci saremmo ritrovati in coda chilometrica per visitare il mitico Anfiteatro Flavio.

Il motivo per il quale molti romani confessano di non entrare ai Musei Vaticani dall’ultima gita scolastica alle medie, come anche al Colosseo o a San Pietro, è che non vogliono fare file.

Diciamola tutta, per un romano de Roma, accodarsi come qualsiasi turista per vedere un monumento capitolino è quasi anti costituzionale: siamo cresciuti circondati da capitelli e sanpietrini, con la sensazione forviante che i monumenti fossero un prolungamento naturale dei nostri cortili condominiali.

Per quanto mi riguarda, nella mia vita ero entrata al Colosseo a vent’anni, quando ancora di notte si potevano sfidare le guardie ed intrufolarsi nell’Arena, alla ricerca di qualche brivido notturno. Altri tempi, altre inferriate.

Torniamo al graditissimo regalo. Eravamo a gennaio, meglio quindi rimandare le gite turistiche a climi più dolci. Poi è arrivato il lockdown. Dopo il lockdown, c’è stata la tanto attesa riapertura, ma sono cambiate le regole.

IL TURISMO AI TEMPI DEL COVID

Tra Colosseo, Foro e Palatino, a luglio solitamente si registravano sulle 20.000 visite giornaliere, con picchi di 30.000 unità nei weekend più fortunati.

Ora gli ingressi sono controllati e contingentati, per un massimo di 600 persone al giorno. 19.400 anime in meno che calpestano i prati del Palatino e si affacciano sugli spalti del Colosseo, per la gioia inusitata dei 600 fortunati.

Non mi soffermerò a parlare della perdita finanziaria, focalizziamoci piuttosto su un aspetto impagabile: quello di godersi cotanta meraviglia, senza calca.

C’è da dire, che la visita al Colosseo risente eccessivamente delle restrizioni dettate dall’emergenza Covid.

Bisogna entrare in gruppi, parte del sito non è accessibile al pubblico, e si viene seguiti passo passo da un impiegato, visibilmente annoiato, che ti indica dove devi andare e per quanto tempo puoi sostare, per un totale di 45 minuti.

Breve, scarno, limitato: un tuffo nel passato che potrebbe rapirti totalmente e che invece deve fare i conti con la tristezza contemporanea.

Il discorso cambia completamente al Foro Romano ed al Palatino. In questo parco meraviglioso, puoi perderti nella lentezza di un caldo pomeriggio di luglio, incrociando poche persone che, come te, vagano a bocca spalancata di fronte a tanta quiete transitoria e bellezza imperitura. Sei nel centro di Roma, ma quello che senti sono solo i passi sui vialetti ed il pigro canto delle cicale.

A farci da anfitrione, una guida molto appassionata: Arianna. Anche lei, un pesce fuor d’acqua in questo periodo che ha come ritornello: mai visto prima.

Mai vista Roma così.

Mai visti così pochi turisti.

Mai avuto un gruppo tanto sparuto di visitatori, fra l’altro tutti italiani.

La nostra allegra ed esigua brigata era composta da: una famigliola di Bologna, una coppia tosco-ligure e noi due. Romani al Colosseo in netta minoranza, anche in tempi di pandemia.

L’ANFITEATRO FLAVIO, QUESTO CONOSCIUTO

Grazie ad Arianna, la seppur veloce scarpinata su e giù per l’Anfiteatro ha assunto i contorni di un viaggio divertente e coinvolgente.

Siamo tornati ai giorni gloriosi dell’Imperatore Vespasiano, nel remoto 72 d.C. e del suo desiderio di restituire al popolo quello che il suo predecessore aveva sottratto. Una vasta fetta di città divenuta residenza privata sotto l’egemonia di Nerone – la leggendaria Domus Aurea – e trasformata in Colossale Anfiteatro, destinato ad ospitare combattimenti tra gladiatori, spettacolari caccie e condanne a morte.

Con velocità cinese, questa meraviglia di avanguardia e marmo venne eretta e resa operativa per l’inaugurazione in soli otto anni dal nipote di Vespasiano: l’imperatore Domiziano.

Oltre all’Anfiteatro, la costruzione di tutti gli edifici accessori richiese un lavoro di oltre venti anni, per un’estensione territoriale di quasi 7 ettari.

Ma torniamo a Vespasiano ed alla sua fantasmagorica opera.

Una costruzione alta 52 metri, eretta utilizzando ottomila tonnellate di marmo, centomila di travertino, legno a non finire e trecentomila chilogrammi di ferro, grazie al quale operosi maniscalchi fortificarono la struttura.

Una molosso quasi insensibile a terremoti, cedimenti e decadimento. Lavoretto coi fiocchi, che ne dite?

IL COLOSSO ORIGINARIO

Della vanagloria di Nerone non rimaneva nulla, se non una statua in prossimità del neonato anfiteatro: un colosso bronzeo che Plinio il Vecchio narrava fosse alto 33 metri. Impossibile ed inammissibile distruggere cotanta grandezza, quindi Vespasiano pensò bene di fare il lifting alle fattezze bronzee di Nerone e di trasformare la statua in simulacro del Sole.

 

Al momento dell’inaugurazione di Domiziano, quello che apparve ai cittadini romani fu un molosso di marmo scintillante, impreziosito da statue, affreschi, stucchi ed arcate maestose.

Una volta entrati, erano i colori rosso e nero a farla da padrone, colpendo lo spettatore per il forte contrasto con il bianco cangiante dell’esterno.

Cento giorni durò l’inaugurazione, durante i quali spettacoli inverosimili e cruenti, come anche manifestazioni circensi ed esibizioni teatrali, si succedettero con ritmo incalzante. Ai festeggiamenti furono invitate a partecipare le personalità più in vista. Senatori, cavalieri, vestali, sacerdoti, ma anche i cittadini più umili.

Per la gloria dell’imperatore, era fondamentale mostrare al popolo spettacoli ricchi e maestosi: quanto più gli animali che sfilavano sull’Arena erano esotici, tanto più l’Impero Romano dimostrava di essere florido ed esteso.

AI MEJO POSTI

Ogni capofamiglia possedeva una tessera numerata, che indicava l’arcata di ingresso – 80 varchi totali, 4 dei quali dedicati all’imperatore ed ai VIP.

A sud capeggiava l’ingresso della famiglia imperiale, a nord quello delle autorità, ad ovest la Porta Trimphalis per l’arrivo delle star – gladiatori, musicanti e cortei – infine ad est la Porta Libitinaria, dedicata all’uscita dei combattenti. Sulle loro gambe, o in posizione orizzontale…

Il resto degli ingressi era preso d’assalto dal pubblico, che con tanto di tessera alla mano, sapeva esattamente dove dirigersi e quale posto occupare.

Tutto era organizzato e strutturato con efficacia ultraterrena: l’anfiteatro, che arrivava ad ospitare 70.000 anime, poteva riempirsi in 15 minuti. Le scale che conducevano agli spalti erano costruite – e resistono ancora oggi – in modo tale che, in caso di evacuazione improvvisa, il pubblico potesse scendere velocemente ed uscire sano e salvo, se riusciva a non cadere. Il cosiddetto Vomitorium indicava appunto gli ingressi del Colosseo, a significare in maniera onomatopeica la massa di gente che si riversava per le scale ad inizio e fine spettacoli, e che veniva letteralmente vomitata dalle viscere dell’anfiteatro in maniera veloce ed ordinata.

Nessun prezzo da pagare, era la classe sociale che stabiliva la comodità del sedile e la visibilità dello spettacolo. Per ultime, relegate alla zona più scomoda del settore ligneo, cioè l’unico con le sedute in legno, c’erano le donne, distanziate dagli uomini e messe in disparte. Perché la discriminazione è tema molto antico.

In prima fila sedevano comodamente, mangiando e bevendo, l’imperatore e compagnia bella. Oltre ad essere il posto con la miglior vista, il palco delle autorità o Podium, era anche esposto ai pericoli maggiori: le belve feroci erano a soli tre metri di distanza. Per ragioni di sicurezza, durante gli spettacoli veniva eretta una rete metallica sormontata da zanne d’elefante a mò di spuntoni aguzzi, rulli d’avorio che impedivano ai felini più agili di arrampicarsi, ed arcieri pronti a scoccare mortali frecce.

UN DIETRO LE QUINTE FANTASMAGORICO

Nei sotterranei si sviluppava tutto un apparato tecnico, invisibile dagli spalti.

Un backstage ante litteram nel quale centinaia di uomini lavoravano alacremente, permettendo alla magia dello spettacolo di prendere forma e ad animali, cacciatori e gladiatori di apparire trionfalmente sull’Arena, grazie ad un complesso sistema di argani e montacarichi.

MOLTI DESTINI, UN UNICO PALCOSCENICO

Su quella sabbia, migliaia di persone ed animali persero la vita, in un tripudio di urla ed incitamento disumani.

Tra quegli spalti, schiavi recuperarono la libertà grazie alla loro ferocia.

Davanti a migliaia di persone in visibilio, i gladiatori più coraggiosi e sanguinari, assursero a fama imperitura. Si pensava che il loro sangue donasse vigore fisico e coraggio, e che uno stralcio di veste gladiatoria fosse un prezioso talismano contro il malocchio. A fine carriera, sempre che sopravvivesse, un gladiatore aveva diritto ad una pensione, ricavata dalle vincite che negli anni erano state messe da parte per lui. Chi cadeva prima di poterne usufruire, poteva consolarsi in punto di morte al pensiero che quegli stessi soldi, sarebbero andati alle famiglie che ne avrebbero pianto il lutto.

Accanto al Colosseo, sorgevano la zona di allenamento, un’attrezzatissima palestra, la Ludus Magnus, un ospedale che si prendeva cura dei feriti e le caserme che ospitavano i Gladiatori. Tutte le varie strutture erano collegate all’anfiteatro grazie ad una fitta rete di gallerie sotterranee.

INFINITI LAVORI DI MANUTENZIONE

C’era bisogno di una manutenzione continua per mantenere ogni ingranaggio dell’Universo Colosseo ben oleato ed efficiente. Senza calcolare danni provocati dagli incendi o terremoti.

All’interno dell’Arena c’erano i servizi igienici, gli spalti erano sormontati da vele, per proteggere il popolo dal sole a picco o da piogge improvvise. Queste mastodontiche coperture erano manovrate da uno reparto di esperti marinai, che per l’occasione lasciavano la flotta imperiale di stanza a Miseno, e raggiungevano la Capitale.

Esisteva un sistema di raccolta delle acque reflue delle latrine e piovane.

Gli addetti ai lavori si muovevano all’interno dell’Anfiteatro grazie ad una serie di passaggi invisibili al grande pubblico.

Su ogni gradino degli spalti, erano incise le categorie sociali, come anche le classi sacerdotali, le etnie o le magistrature.

Un’organizzazione che ha dell’incredibile, e che risale a quasi duemila anni fa.

L’INEVITABILE DECLINO

Questo monumentale baraccone fu il centro nevralgico dei giochi imperiali per oltre cinquecento anni, l’ultimo spettacolo fu allestito nel 523 d.C. sotto la reggenza di Teodorico il Grande. Il sovrano ostrogoto, espresse il suo deciso disappunto verso una struttura che nei secoli era costata fiumi di denaro, che avrebbero altresì aiutato il popolo a vivere più dignitosamente.

Con il cambiamento dei tempi ed il fallimento imperiale, un inevitabile declino prese piede e nei secoli, il vecchio gigante fu preso d’assalto, spogliato e vituperato.

Si trasformò in fortezza, come anche in villaggio improvvisato o cava dalla quale estrapolare materiali edili.

Il tempo corse veloce: per 1.200 anni il Colosseo fu vittima di atti vandalici variegati, poi nel 1749 Papa Benedetto XIV sentenziò che qualsiasi ulteriore espoliazione dell’anfiteatro era illecita e che anzi, doveva iniziare una vasta opera di restauro.

Ed è così, che negli anni il Colosseo raggiunse nuova gloria, fino ad arrivare a noi, in un caldo pomeriggio di luglio, muniti di mascherine e con gli sguardi rapiti da cotanta storia.

P.s. Grazie Luca, del meraviglioso regalo ?

Comments:

  • Ginevra

    19 Luglio 2020

    Ma che bello questo articolo, complimetni!!

  • barbara

    19 Luglio 2020

    …sembra di camminare nella storia. Grazie ??

  • savy

    25 Luglio 2020

    Dopo aver letto questo articolo, sono pronta per fare la guida al Colosseo ????

  • Guglielmo

    16 Agosto 2020

    Viene voglia di tornare al Colosseo, subito ??

  • Liliana

    16 Agosto 2020

    Toppppp!!!!

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